IL MATRIMONIO (cc 1055-1165) (II parte) Atti da premettere alla celebrazione. Gli impedimenti dirimenti in genere. Gli impedimenti dirimenti in specie. Gli impedimenti nella legislazione italiana. Il consenso matrimoniale. I vizi e le modalità del consenso. La forma e il luogo della celebrazione.
Il matrimonio concordatario. Annotazione del matrimonio nel registro parrocchiale. Atti da premettere alla celebrazione
I cattolici che non hanno ancora ricevuto il sacramento della confermazione, lo ricevano prima di essere ammessi al matrimonio, se è possibile senza grave incomodo (c. 1065).
Per celebrare il sacramento del matrimonio non è necessario aver ricevuto la confermazione; ma i parroci debbono premurarsi di consigliare ai nubendi la previa celebrazione della confermazione.
Le nozze cristiane sono infatti logica conseguenza della scelta della sequela di Cristo che viene fatta con il sacramento della confermazione e che poi si concretizza nello stato di vita coniugale o celibatario.
Rimandare la confermazione a dopo il matrimonio, il più delle volte significa rinunciarvi per sempre.
Prima della celebrazione di un matrimonio, tutti i fedeli sono tenuti all’obbligo di rivelare al parroco o all’Ordinario del luogo gli impedimenti di cui fossero a conoscenza (c. 1069).
Poiché nelle pagine che seguono ricorre con frequenza l’espressione “Ordinario del luogo” ne diamo il significato.
Col nome di Ordinario del luogo s’intendono, oltre il Romano Pontefice, i Vescovi diocesani e gli altri che, anche se interinalmente, sono preposti a una Chiesa particolare o a una comunità ad essa equiparata; e inoltre coloro che nelle medesime godono di potestà esecutiva ordinaria generale, vale a dire i vicari generali ed episcopali.
Quanto però viene attribuito nominatamente al Vescovo diocesano nell’ambito della potestà esecutiva, s’intende competere solamente al Vescovo diocesano e agli altri a lui equiparati, esclusi il Vicario generale ed episcopale, se non per mandato speciale (e 134).
Tranne che in caso di necessità, nessuno, senza la licenza dell’Ordinario del luogo, assista canonicamente al matrimonio:
– dei girovaghi;
– al matrimonio che non può essere riconosciuto o celebrato a norma della legge civile;
– al matrimonio di chi è vincolato da obblighi naturali derivati da precedente unione verso l’altra parte o i figli;
– di chi ha notoriamente abbandonato la fede cattolica o è irretito da censura;
– di un figlio minorenne, se ne sono ignari e ragionevolmente contrari i genitori;
– al matrimonio da celebrarsi mediante procuratore (c. 1071).
I pastori d’anime si adoperino a distogliere i giovani dal celebrare il matrimonio prima dell’età in cui si è soliti farlo secondo le usanze della regione (c. 1072).
Questa esortazione pastorale non riguarda l’età prima della quale il matrimonio non può essere validamente contratto, e di cui si dirà tra breve; bensì i matrimoni troppo precoci, in relazione alle legittime consuetudini dei luoghi.
Come criterio saggio e di massima, è conveniente contrarre matrimonio in età né troppo giovane né troppo adulta, poiché nel primo caso può mancare la sufficiente maturità decisionale, nel secondo caso il matrimonio può, essere contratto per motivi estranei ai valori più profondi della vita coniugale.
I genitori mettano in guardia i figli dal contrarre amicizie con significato di fidanzamenti precoci.
Progettare in troppo giovane età il matrimonio con una determinata persona anzitutto coarta la libertà di scelta, in quanto il legame affettivo che si instaura tra i due giovani limita assai e talvolta toglie la capacità e la disponibilità, almeno psicologica, di prendere in considerazione, con obiettività, scelte migliori e più rispondenti alla propria personalità.
Si aggiunga che qualora, per decisione di una delle due parti, venga a sfumare il sognato matrimonio, si creano situazioni e stati d’animo non certamente positivi per quanto attiene alla serena crescita e maturazione umana del giovane.
Sono da sconsigliare non soltanto i matrimoni in troppo giovane età, ma anche i fidanzamenti troppo prolungati nel tempo poiché, tra l’altro, non vanno esenti da gravi difficoltà nel conservare la sincerità e la integrità morale dei reciproci comportamenti.
Gli impedimenti dirimenti in genere
L’impedimento dirimente può essere pubblico o occulto e rende la persona inabile a contrarre validamente il matrimonio.
L’impedimento sì ritiene pubblico se può essere provato in foro esterno; altrimenti è occulto.
Spetta all’autorità suprema della Chiesa dichiarare autenticamente quando il diritto divino proibisca o dirima il matrimonio. È pure diritto della sola autorità suprema della Chiesa stabilire altri impedimenti per i battezzati (cc 1073-1075).
Poiché il contratto matrimoniale dei battezzati è inseparabile dal sacramento, la Chiesa non riconosce all’autorità civile il diritto dì statuire impedimenti che dirimano il matrimonio-sacramento.
Tuttavia non vanno disattese quelle prescrizioni civili – purché non siano in contrasto col diritto divino o canonico – che limitano l’esercizio del diritto a contrarre matrimonio, e questo per garantire più sicuramente la stabilità del vincolo matrimoniale e i suoi effetti civili.
Occorre quindi una causa giusta e adeguata affinché si possa procedere alla celebrazione del matrimonio soltanto religioso e perciò senza riconoscimento ed effetti civili.
Come è competenza esclusiva della Santa Sede dichiarare autenticamente quando il diritto divino proibisca o dirima il matrimonio e, di conseguenza, stabilire impedimenti alla celebrazione del matrimonio, è parimenti suo esclusivo diritto dispensare o autorizzare a dispensare da quegli impedimenti che essa giudica dispensabili.
L’Ordinario del luogo può vietare il matrimonio ai propri sudditi e a tutti quelli che vivono abitualmente nel suo territorio, in un caso peculiare, ma solo per un tempo determinato, per una grave causa e fin tanto che questa perduri; ma non può aggiungere una clausola dirimente (c. 1077).
L’Ordinario del luogo non ha il potere di stabilire impedimenti dirimenti il matrimonio; può soltanto, verificandosi le condizioni previste dal canone citalo, vietare il matrimonio; nel qual caso, se viene celebrato, è illecito ma valido.
L’Ordinario del luogo può dispensare i propri sudditi, e quanti vivono abitualmente nel suo territorio, da tutti gli impedimenti di diritto ecclesiastico, eccetto quelli la cui dispensa è riservata alla Sede Apostolica.
Gli impedimenti la cui dispensa è riservata alla Sede Apostolica sono l’impedimento proveniente dai sacri ordini o dal voto pubblico di castità emesso in un istituto religioso di diritto pontificio e l’impedimento di crimine di cui al can. 1090.
Mai si da la dispensa dall’impedimento di consanguineità nella linea retta o nel secondo grado della linea collaterale (c. 1078 par 3).
In urgente pericolo di morte, l’Ordinario del luogo può dispensare i propri sudditi, e quanti vivono attualmente nel suo territorio, sia dall’osservanza della forma prescritta per la celebrazione del matrimonio, sia da tutti e singoli gli impedimenti di diritto ecclesiastico, pubblici e occulti, eccetto l’impedimento proveniente dal sacro ordine del presbiterato.
Nelle medesime circostanze, ma solo nei casi in cui non sia possibile ricorrere neppure all’Ordinario del luogo, hanno uguale facoltà di dispensare sia il parroco, sia il ministro legittimamente delegato, sia il sacerdote o diacono che assiste canonicamente al matrimonio.
In pericolo di morte, il confessore ha la facoltà di dispensare nel foro interno dagli impedimenti occulti, sia durante sia fuori della confessione sacramentale (c. 1079).
Ogniqualvolta si scopra un impedimento quando tutto è già pronto per le nozze, e non è possibile, senza probabile pericolo di grave male, differire il matrimonio, hanno facoltà di dispensare da tutti gli impedimenti, eccetto quello proveniente dai sacri ordini o dal voto pubblico perpetuo di castità emesso in un istituto religioso di diritto pontificio, l’Ordinario del luogo e, purché occulto, tutti quelli di cui è detto nel sopracitato canone 1079 (c. 1080).
Il parroco oppure il sacerdote e il diacono che hanno, a norma di diritto, concesso la dispensa in foro esterno, debbono subito informare l’Ordinario del luogo e annotare la dispensa nel libro dei matrimoni (c. 1081).
Gli impedimenti dirimenti in specie
1. L’uomo prima di sedici anni compiuti, la donna prima dei quattordici anni pure compiuti, non possono celebrare un valido matrimonio.
Compete alla Conferenza episcopale fissare un’età maggiore per la lecita celebrazione del matrimonio (c. 1083).
L’impedimento di età è richiesto dal diritto naturale e viene determinato dalla sola suprema autorità, cui spetta dichiarare quale sia l’età in cui si presume che l’uomo e la donna siano biologicamente e psichicamente idonei ad assumere gli obblighi essenziali del matrimonio.
La Conferenza episcopale italiana, alla quale il Legislatore canonico concede di poter richiedere, per la sola liceità, un’età maggiore, ha statuito che l’età per la lecita celebrazione del matrimonio è di diciotto anni per entrambi i contraenti, riservandosi di emanare una “Istruzione pastorale” per i matrimoni contratti in età inferiore.
2. L’impotenza copulativa antecedente e perpetua, assoluta o relativa, sia da parte dell’uomo sia da parte della donna, per sua stessa natura rende nullo il matrimonio.
Se l’impedimento è dubbio, per dubbio di diritto o di fatto, il matrimonio non deve essere impedito ne, stante il dubbio, dichiarato nullo.
La sterilità né proibisce né dirime il matrimonio, a meno che non sia stata nascosta con dolo (c. 1084; cfr. c. 1098).
L’impotenza può riguardare sia l’uomo sia la donna, e può essere fisica o funzionale; ma va distinta dalla sterilità, la quale consente il compimento dell’atto coniugale e perciò non invalida il matrimonio, eccetto il caso che sia stata dolosamente nascosta affinché l’altra parte contragga il matrimonio (cfr. c. 1098).
3. Attenta invalidamente il matrimonio chi è legato dal vincolo di un matrimonio precedente, anche se non consumato.
Quantunque il matrimonio precedente sia, per qualunque causa nullo o sciolto, non per questo è lecito contrarre un altro matrimonio prima che sia costatata legittimamente e con certezza la nullità o lo scioglimento del precedente (c. 1085).
Anche nel caso che il matrimonio sia nullo o sia stato sciolto dalla Sede Apostolica perché rato e non consumato, non è lecito centrarne un altro se non consta con certezza e con documenti autentici della sua invalidità e del suo scioglimento. I documenti validi sono il certificato di morte, se uno dei coniugi è deceduto; la sentenza definitiva del tribunale ecclesiastico; il rescritto di dispensa del Sommo Pontefice.
In caso di “morte presunta” occorre procedere con molta cautela e non accettare come prova conclusiva la sentenza civile; ma appurare con ogni sicuro mezzo testimoniale la morte del coniuge (cfr. Istruzione del S. Officio del 13 maggio 1868), e ricorrere all’Ordinario del luogo.
Se il matrimonio è obiettivamente e certamente nullo per avere, ad esempio, positivamente escluso una delle proprietà essenziali del matrimonio, ma non sia dimostrabile in foro esterno, i coniugi non possono lecitamente contrarre un altro matrimonio; anche se sarebbe valido qualora lo celebrassero osservando le prescrizioni che attengono alla validità.
4. È invalido il matrimonio tra due persone, di cui una sia battezzata nella Chiesa cattolica o in essa accolta e non separata dalla medesima con atto formale, e l’altra non battezzata (c. 1086, par. 1).
L’impedimento riguarda i cattolici che sposano un non battezzato, e non gli acattolici e i cattolici che si sono separati dalla Chiesa cattolica con atto formale e cioè aderendo a un’altra religione o setta, oppure dichiarando in foro esterno l’apostasia.
L’impedimento cessa con il battesimo della parte infedele o con la dispensa, che viene concessa alle condizioni di cui si dirà per i matrimoni misti.
5. Attentano invalidamente il matrimonio coloro che sono costituiti nei sacri ordini (c. 1087).
Gli ordini sacri sono il diaconato, il presbiterato e l’episcopato (c. 1009, par 1).
Nella Chiesa latina, chi ha ricevuto l’ordine sacro è inabile al matrimonio per motivi religiosi, morali e sociali, dei quali si è detto trattando dell’ordine sacro.
Paolo VI nella Lettera Apostolica Sacrum diaconatus ordinem del 18 giugno 1967, ha stabilito che i promossi al diaconato permanente, se non sono già sposati, contraggono invalidamente il matrimonio.
La dispensa da questo impedimento è riservata alla Santa Sede (c. 1078, par 2, 1).
6. Attentano invalidamente il matrimonio coloro che sono vincolati dal voto pubblico perpetuo di castità emesso in un istituto religioso (c. 1088).
Il voto di castità impedisce il matrimonio se è pubblico, emesso cioè in un istituto religioso (c. 607), e accettato in nome della Chiesa dal competente superiore ecclesiastico, e se è perpetuo.
Non sono tenuti dall’impedimento i membri degli istituti secolari e cioè degli istituti di vita consacrata in cui i fedeli, che non hanno ricevuto l’ordine sacro, vivendo nel mondo, tendono alla perfezione della carità e si impegnano per la santificazione del mondo, soprattutto operando all’interno di esso (c. 710), poiché essi, in forza della consacrazione, non cambiano la propria condizione canonica, laicale o clericale (c. 711).
7. Non è valido il matrimonio tra l’uomo e la donna rapita o almeno trattenuta allo scopo dì contrarre matrimonio con essa, se non dopo che la donna, separata dal rapitore e posta in un luogo sicuro e libero, scelga spontaneamente il matrimonio (c. 1089).
L’impedimento del ratto si ha a seguito sia del rapimento sia della detenzione, effettuati con la forza fisica o morale, ed ha lo scopo di assicurare la libertà del consenso matrimoniale della donna.
Non esiste rapimento se la donna fugge dal suo seduttore, o insieme con lui, con lo” scopo di poterlo sposare.
L’impedimento cessa non appena la donna rapita o violentemente trattenuta viene separata dal rapitore o detentore, e posta in luogo sicuro e libero, in maniere che possa, con piena libertà, decidersi o no al matrimonio.
L’impedimento del ratto non è riconosciuto dal Codice civile italiano, che commina pene per chi con violenza, minaccia o inganno sottrae o ritiene una donna non coniugata a scopo di matrimonio (c.p., art 522).
Il matrimonio può tuttavia essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo (c. c.., art 122).
8. Chi, allo scopo di celebrare il matrimonio con una determinata persona, uccide il coniugo di questa o il proprio, attenta invalidamente tale matrimonio.
Attentano pure invalidamente il matrimonio tra loro quelli che cooperano fisicamente o moralmente all’uccisione del coniuge (c. 1090).
L’impedimento ha lo scopo di tutelare l’incolumità dei coniugi e di punire un delitto gravemente lesivo della sacralità del matrimonio.
In chi uccide il coniuge e in chi coopera all’uccisione, l’intenzione di contrarre matrimonio si presume dalle circostanze concomitanti.
Da questo impedimento, di diritto ecclesiastico e per sé perpetuo, la Santa Sede difficilmente dispensa quando è pubblico, mentre richiede gravi e urgenti motivi se il coniugicidio è occulto.
L’impedimento è previsto anche dal codice civile italiano (art. 88).
9. Nella linea retta della consanguineità è nullo il matrimonio tra tutti gli ascendenti e i discendenti, sia legittimi sia naturali.
Nella linea collaterale il matrimonio è nullo fino al quarto grado incluso.
L’impedimento di consanguineità non si moltiplica.
Non si deve mai permettere il matrimonio, se sussiste qualche dubbio che le parti siano consanguinei in qualunque grado della linea retta o nel secondo grado della linea collaterale (c. 1091).
La consanguineità si computa per linee e gradi. Nella linea retta tanti sono i gradi quante le generazioni, ossia quante le persone, tolto il capostipite. Nella linea obliqua o collaterale tanti sono i gradi quante le persone in tutte e due le linee insieme, tolto il capostipite (c. 108).
Il matrimonio in primo grado in linea retta, e molto probabilmente anche in linea retta di qualsiasi grado e in linea collaterale di secondo grado (fratello e sorella, specie se con ambedue i genitori in comune), è invalido per diritto naturale, e perciò l’impedimento non viene mai dispensato.
Negli altri gradi di consanguineità l’Ordinario del luogo può dispensare, ma è richiesta una causa tanto più grave quanto più l’impedimento si avvicina al secondo grado,
10. L’affinità nella linea retta rende nullo il matrimonio in qualunque grado (c. 1092).
L’affinità sorge dal matrimonio valido, anche se non consumato, e sussiste tra il marito e i consanguinei della moglie, e parimenti tra la moglie e i consanguinei del marito.
L’affinità si computa in maniera tale che coloro che sono consanguinei del marito siano affini della moglie nella medesima linea e grado, e viceversa (c. 109).
L’impedimento, di sua natura perpetuo, non è di diritto naturale; ma non viene facilmente dispensato, anche perché, prevedendolo il diritto civile (c. c.., art 87), il matrimonio non sortirebbe gli effetti civili.
11. L’impedimento di pubblica onestà sorge dal matrimonio valido in cui ci sia stata vita comune o da concubinato pubblico e notorio; e rende nulle le nozze nel primo grado della linea retta tra l’uomo e le consanguinee della donna, e viceversa (c. 1093).
Il concubinato è notorio se è giuridicamente certo e non può essere legittimamente negato, è pubblico se è stato divulgato o può prevedersene la divulgazione.
L’impedimento è di diritto ecclesiastico e sorge anche dal matrimonio civile contratto da battezzati cattolici; ma è postulato da motivi di ordine morale.
L’impedimento, per sé perpetuo, non può essere dispensato per causa giusta e grave.
12. Non possono contrarre validamente matrimonio tra loro nella linea retta o nel secondo grado della linea collaterale, quelli che sono uniti da parentela legale sorta dall’adozione (c. 1094).
I figli, che sono stati adottati a norma della legge civile, sono ritenuti figli di colui o di coloro che li hanno adottati (c. 110).
Perché l’adozione impedisca il matrimonio, nei gradi sopra citati, deve essere legalmente valida a norma del diritto civile della nazione nella quale si contrae il matrimonio.
Per quanto, dunque, riguarda l’impedimento di parentela legale in Italia, occorre fare riferimento alla normativa del Codice civile italiano, agli articoli 87, 291 e seguenti.
La dispensa dall’impedimento può essere concessa dall’Ordinario del luogo se vi è una causa giusta e adeguata, e tenendo presente che al matrimonio così contratto non sono riconosciuti gli effetti civili.
Gli impedimenti nella legislazione italiana
Riportiamo, in breve, la normativa del Codice civile italiano circa gli impedimenti matrimoniali:
a) non possono contrarre matrimonio:
– i minori di età (art. 84). La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno (art. 2).
Tuttavia, il tribunale, su istanza dell’interessato, accertata la sua maturità psico-fisica e la fondatezza delle ragioni addotte, sentito il pubblico ministero, i genitori o il tutore, può con decreto emesso in camera di consiglio ammettere per gravi motivi al matrimonio chi abbia compiuto i sedici anni (art 84);
– l’interdetto per infermità di mente (art 85);
– chi è vincolato da un matrimonio precedente (art 86);
b) non possono contrarre matrimonio fra loro: 1) gli ascendenti e i discendenti in linea retta, legittimi o naturali; 2) i fratelli e le sorelle germani, consanguinei o uterini; 3) lo zio e la nipote, la zia e il nipote; 4) gli affini in linea retta; 5) gli affini in linea collaterale in secondo grado; 6) l’adottante, l’adottato e i suoi discendenti; 7) i figli adottivi della stessa persona; 8) l’adottato e i figli dell’adottante; 9) l’adottato e il coniuge dell’adottante, l’adottante e il coniugo dell’adottato.
I divieti contenuti nei numeri 6, 7, 8 e 9 sono applicabili all’affiliazione. I divieti contenuti nei numeri 2 e 3 si applicano anche se il rapporto dipende da filiazione naturale (art 87).
Non possono contrarre matrimonio tra loro le persone delle quali l’una è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra (art 88);
c) per divieto temporaneo, non può contrarre matrimonio la donna, se non dopo trecento giorni dallo scioglimento, dall’annullamento o dalla cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio, eccettuato il caso in cui il matrimonio è stato dichiarato nullo per l’impotenza, anche soltanto di generare, di uno dei due coniugi. Se si verificano particolari circostanze, il tribunale può consentire il matrimonio. In ogni caso, il divieto cessa dal giorno in cui la gravidanza è terminata (art 89).
Il consenso matrimoniale
L’elemento essenziale del matrimonio è il consenso delle parti che lo contraggono.
Il consenso matrimoniale deve essere un atto personale, una scelta cosciente responsabile e libera.
Perché la scelta sia tale, i contraenti debbono essere capaci di conoscere cosa sia il matrimonio, di sceglierlo con volontà libera e di valutare, con un giudizio discernitivo maturo, gli impegni da assumere e da adempiere.
Ciò che l’uomo, con il consenso matrimoniale, dona alla donna, è se stesso, l’intera sua persona e con patto irrevocabile. Uguale gesto compie la donna nei confronti dell’uomo.
Tale mutua donazione ha la specifica finalità di costituire una piena e indissolubile comunità e comunione di vita.
E pertanto: sono incapaci a contrarre matrimonio:
1° coloro che mancano di sufficiente uso di ragione;
2° coloro che difettano di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente;
3° coloro che per cause di natura psichica non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio (c 1095).
Perché possa esserci il consenso matrimoniale, è necessario che i contraenti almeno non ignorino che il matrimonio è la comunità permanente tra l’uomo e la donna, ordinata alla procreazione della prole mediante una qualche cooperazione sessuale.
Tale ignoranza non si presume dopo la pubertà (c. 1096). La pubertà ha un duplice aspetto, fisiologico e psichico, sicché non può essere valutata secondo rigidi schemi di età, ma va accertata nei singoli soggetti.
I vizi e le modalità del consenso
Il consenso matrimoniale si fonda sull’adeguata conoscenza della natura, dei doveri e dei diritti essenziali del matrimonio e sulla libera volontà nell’assumerli; e perciò: l’errore di persona rende invalido il matrimonio. L’errore circa una qualità della persona, quantunque sia causa del contratto, non rende nullo il matrimonio, eccetto che tale qualità sia intesa direttamente e principalmente (c 1097).
Chi celebra il matrimonio raggirato con dolo, ordito per ottenerne il consenso, circa una qualità dell’altra parte, che per sua natura può perturbare gravemente
la comunità di vita coniugale, contrae invalidamente matrimonio (c 1098).
L’errore circa l’unità o indissolubilità o la dignità sacramentale del matrimonio non vizia il consenso matrimoniale, purché non determini la volontà (c 1099).
Sapere o supporre che il matrimonio sia nullo non esclude necessariamente il consenso matrimoniale (c 1100).
Se una o entrambe le parti escludono con un positivo atto di volontà il matrimonio stesso, oppure un suo elemento essenziale o una sua proprietà essenziale, contraggono invalidamente (c 1101, par 2).
E’ invalido il matrimonio contratto sotto condizione futura; mentre il matrimonio celebrato sotto condizione passata o presente è valido o no, a seconda che esista o no il presupposto della condizione. Tali condizioni non si possono tuttavia porre senza la licenza dell’Ordinario del luogo (c 1102), cui spetta valutare e approvare o meno i motivi per i quali si intende porre condizioni “de re praeterita vel praesenti”.
La condizione “futura” invalida il matrimonio perché questo esiste se il matrimonio viene contratto con il consenso “presente” all’atto della celebrazione.
Il consenso è condizionato quando, con un atto positivo di volontà, lo si fa dipendere da una circostanza, in modo tale che, stando o cadendo questa, stia o cada il consenso. Non basta, quindi, che se ci si avesse pensato, si sarebbe posta la condizione.
Non è necessario per sé che la condizione sia manifestata esternamente; è sufficiente che esista e agisca sul consenso nel momento di contrarre il matrimonio.
È invalido il matrimonio celebrato per violenza o timore grave incusso dall’esterno, anche non intenzionalmente, per liberarsi dal quale uno sia costretto a scegliere il matrimonio (c 1103).
La violenza, di cui al canone, sia fisica sia morale, rende nullo il matrimonio per diritto naturale perché impedisce la necessaria libertà che, con la consapevolezza, è requisito essenziale del consenso.
Gli sposi debbono manifestare il consenso con le parole; se però non possono parlare, lo debbono fare con segni equivalenti.
Per contrarre validamente il matrimonio è necessario che i contraenti siano presenti contemporaneamente, sia di persona sia tramite procuratore (c. 1104).
Per celebrare validamente il matrimonio tramite procuratore si richiede che vi sia un mandato speciale per contrarre con una determinata persona; che il procuratore sia designato dallo stesso mandante e che egli adempia di persona il suo incarico.
Perché il mandato sia valido, deve essere sottoscritto dal mandante e inoltre dal parroco o dall’Ordinario del luogo in cui il mandato viene dato o da un sacerdote delegato da uno di essi, o da almeno due testimoni, oppure deve essere fatto con un documento autentico a norma del diritto civile.
Se il mandante, prima che il procuratore contragga in suo nome, revoca il mandato o cade in pazzia, il matrimonio è invalido, anche se lo ignoravano sia il procuratore sia l’altra parte contraente (c 1105), per il motivo che il consenso dei contraenti non può essere mai supplito da altri.
La forma e il luogo della celebrazione
Sono validi soltanto i matrimoni che si contraggono alla presenza dell’Ordinario del luogo o del parroco o del sacerdote oppure del diacono delegato da uno di essi che sono assistenti, nonché alla presenza di due testimoni a norma di diritto e salve le eccezioni previste dal diritto, e di cui è detto nei canoni successivi.
Assiste canonicamente, e quindi validamente, al matrimonio soltanto colui che di persona chiede la manifestazione del consenso dei contraenti e la riceve in nome della Chiesa (c. 1108).
L’Ordinario del luogo e il parroco, in forza dell’ufficio assistono validamente, entro i confini del proprio territorio, ai matrimoni non solo dei sudditi ma anche dei non sudditi, purché almeno uno di essi sia di rito latino (c. 1109).
L’Ordinario del luogo e il parroco possono delegare a sacerdoti e diaconi la facoltà anche generale di assistere ai matrimoni entro i confini del proprio territorio.
Perché sia valida, la delega della facoltà di assistere ai matrimoni deve essere data espressamente a persone determinate; e se si tratta di delega speciale, deve essere data anche per un matrimonio determinato; se poi si tratta di delega generale, deve essere concessa per iscritto (c. 1111).
I matrimoni siano celebrati nella parrocchia in cui l’una o l’altra parte contraente ha il domicilio o il quasi-domicilio o la dimora protratta per un mese, oppure, se si tratta di girovaghi, nella parrocchia in cui dimorano attualmente.
Con il permesso del proprio Ordinario o del proprio parroco, i matrimoni possono essere celebrati altrove (c. 1115).
Il domicilio si acquista con la dimora nel territorio di qualche parrocchia o almeno di una diocesi, tale che o sia congiunta con l’intenzione di rimanervi in perpetuo se nulla allontani da quel luogo, o sia protratta per cinque anni completi.
Il quasi-domicilio si acquista con la dimora nel territorio di qualche parrocchia o almeno di una diocesi, tale che o sia congiunta con l’intenzione di rimanervi almeno per tre mesi se nulla allontani da quel luogo, o sia protratta effettivamente per tre mesi (c. 102).
Il matrimonio tra cattolici, o tra una parte cattolica e l’altra non cattolica battezzata, sia celebrato nella chiesa parrocchiale; con il permesso dell’Ordinario del luogo o del parroco potrà essere celebrato in un’altra chiesa o oratorio.
L’Ordinario del luogo può permettere che il matrimonio sia celebrato in altro luogo conveniente.
Il matrimonio tra una parte cattolica e l’altra non battezzata potrà essere celebrato in chiesa o in altro luogo conveniente (c. 1118).
Se non si può avere o andare senza grave incomodo dall’assistente competente a norma di diritto, il matrimonio può essere contratto validamente e lecitamente alla presenza dei soli testimoni, nei seguenti casi:
1° in pericolo di morte;
2° al di fuori del pericolo di morte, purché si preveda prudentemente che tale stato di cose durerà per un mese.
Nell’uno e nell’altro caso, se vi e un altro sacerdote o diacono che possa essere presente, deve essere chiamato e assistere, insieme ai testimoni, alla celebrazione del matrimonio, salva la validità del matrimonio in presenza dei soli testimoni (c. 1116).
La forma sopra stabilita deve essere osservata se almeno una delle parti contraenti il matrimonio è battezzata nella Chiesa cattolica o in essa accolta e non separata dalla medesima con atto formale (c. 1117; cfr. c. 1).
La celebrazione del matrimonio deve svolgersi in modo da essere, anche nella realtà esteriore, proclamazione della parola di Dio e professione di fede.
In quanto è sacramento della Chiesa, la celebrazione deve coinvolgere la comunità cristiana; e in tal senso il luogo normale della celebrazione del matrimonio è la comunità parrocchiale nella quale i contraenti sono inseriti e nella cui vita e missione prendono o prenderanno parte.
È quindi da evitare e da sconsigliare la celebrazione del matrimonio in chiese, oratori, santuari scelti per motivi estranei al significato e al valore ecclesiale del matrimonio e che tendono a privatizzare la celebrazione.
L’intimo legame tra l’eucaristia e il matrimonio postula che la celebrazione delle nozze sia normalmente inserita nella messa (SC 78; Rito del matrimonio, 8), a meno che una giusta causa non consigli diversamente, come può avvenire nel caso di matrimoni misti (Rito…, 10).
Sin dai primi incontri in preparazione al matrimonio, il parroco sensibilizzi i nubendi a celebrare le nozze nel corso della messa e a ricevere il Corpo e il Sangue del Signore, dopo aver ottenuto con il sacramento della penitenza il rinnovamento della loro vita nella riconciliazione con Dio e con i fratelli (cfr c. 1065).
La comunione eucaristica degli sposi con le due specie del pane e del vino è consentita dopo adeguata catechesi; ma la si ometta se i comunicandi non ne apprezzano il vero significato e valore, o se può destare giustificata sorpresa da parte dei fedeli presenti al rito.
La celebrazione del sacramento del matrimonio non sia trasformata in un fatuo esibizionismo o in uno spettacolo profano. È bene, per esempio, che in chiesa non manchino i fiori, il suono e il canto, ed anche le foto-ricordo; ma “sit modus in rebus!”.
La rinuncia al lusso e alle spese superflue deve fare del momento delle nozze un’occasione di carità per i fratelli più poveri, bisognosi ed emarginati.
Sono però soprattutto gli sposi stessi che debbono premurarsi di non favorire e, anzi, di limitare le esteriorità della celebrazione delle nozze, e perciò il parroco tratti con essi l’argomento alcuni mesi prima della celebrazione del rito. Intervenire d’autorità o quando “omnia sunt parata ad nuptias”, è pastoralmente del tutto vano e negativo.
Il matrimonio concordatario
La legislazione della Repubblica italiana ammette tre forme di celebrazione del matrimonio:
– davanti all’ufficiale dello Stato civile (c.c. , art 84 ss);
– davanti a un ministro del culto cattolico. Questo matrimonio è regolato in conformità del Concordato con la Santa Sede a delle leggi speciali sulla materia (art 82);
– davanti a ministri dei culti riconosciuti dallo Stato (art 83; cfr. l’Intesa tra lo Stato italiano e le Chiese unificate Valdese e Metodista, del 21 febbraio 1984).
Tra i cattolici vi è una sola possibilità di contrarre valido matrimonio, e cioè secondo la forma stabilita dalla Chiesa. Per i battezzati, infatti, non vi può essere valido matrimonio che non sia nello stesso tempo sacramento, e come tale sottoposto alla competenza della Chiesa.
Ma è assai opportuno che il matrimonio-sacramento abbia, anche agli effetti civili, la rilevanza che gli spetta; ed a questo provvede, in Italia, il Concordato tra la Santa Sede e l’Italia (18 febbraio 1984, art 8).
I nubendi cattolici debbono contrarre il matrimonio nella forma concordataria per assicurarne gli effetti civili, anche nell’interesse dei figli.
Nel caso, infatti, che il matrimonio non sia riconosciuto dallo Stato, i coniugi, o anche uno soltanto, possono infrangere il patto coniugale e passare a nozze civili, senza che nessuno possa legalmente appellarsi al vincolo matrimoniale religioso che per lo Stato non esiste.
Per queste ragioni, l’Ordinario del luogo può concedere la celebrazione del matrimonio senza riconoscimento dello Stato, soltanto nel caso che la stabilità del vincolo sia sicuramente garantita, non vi siano rischi per la salvaguardia dei diritti-doveri dei coniugi, e non ne abbiano danno i diritti della prole.
Le predette condizioni si verificano quasi solo nel caso dei matrimoni celebrati in età avanzata, nella quale è esclusa la possibilità che nascano figli.
Al di fuori di casi straordinari e motivati da cause veramente giuste, non viene concessa la licenza di celebrare il matrimonio soltanto religioso a persone alle quali la legge dello Stato non consente di contrarre le nozze per difetto di età perché prestano servizio nell’esercito, nei corpi di pubblica sicurezza, ecc.
Si tratta, di opportune misure prudenziali che non significano subordinazione allo Stato, ma che si propongono di garantire, per quanto è possibile, la stabilità del matrimonio e l’adempimento dei doveri che ne derivano.
Il Concordato tra la Santa Sede e l’Italia statuisce:
“Sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico, a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale. Subito dopo la celebrazione, il parroco o il suo delegato spiegherà ai contraenti gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi, e redigerà quindi, in doppio originale, l’atto di matrimonio, nel quale potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge civile”.
La Santa Sede prende atto che la trascrizione non potrà avere luogo:
a) quando gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile circa l’età richiesta per la celebrazione;
b) quando sussiste fra gli sposi un impedimento che la legge civile considera inderogabile.
La trascrizione è tuttavia ammessa quando, secondo la legge civile, l’azione di nullità o di annullamento non potrebbe essere più proposta.
La richiesta di trascrizione è fatta, per iscritto, dal parroco del luogo dove il matrimonio è stato celebrato non oltre i cinque giorni dalla celebrazione. L’ufficiale dello stato civile, ove sussistano le condizioni per la trascrizione, la effettua entro ventiquattro ore dal ricevimento dell’atto e ne da notizia al parroco.
Il matrimonio ha effetti civili dal momento della celebrazione, anche se l’ufficiale dello stato civile, per qualsiasi ragione, abbia effettuato la trascrizione oltre il termine prescritto.
La trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su richiesta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altro, sempre che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti legittimamente acquisiti dai terzi (art 8, n 1).
Annotazione del matrimonio nel registro parrocchiale
Celebrato il matrimonio, il parroco del luogo della celebrazione o chi ne fa le veci, anche se nessuno dei due era presente, deve annotare quanto prima nel registro dei matrimoni i nomi dei coniugi, dell’assistente e dei testimoni, il luogo e il giorno della celebrazione.
L’avvenuta celebrazione del matrimonio deve essere annotata anche nel registro dei battezzati, in cui è iscritto il battesimo dei coniugi.
Se un coniuge non ha contratto il matrimonio nella parrocchia in cui fu battezzato, il parroco del luogo della celebrazione deve trasmettere quanto prima la notizia del matrimonio celebrato al parroco del luogo in cui fu amministrato il battesimo (c. 1121s).
L’annotazione dell’avvenuta celebrazione del matrimonio nei registri parrocchiali di battesimo dei rispettivi coniugi è doverosa e importante perché dal certificato di battesimo, richiesto per il conferimento di altri sacramenti e per la professione religiosa, risultano elementi utili per accertare l’assenza di eventuali impedimenti o vincoli.