Di PADRE LUIGI TAPARELLI D\’AZEGLIO S.I. «La Civiltà Cattolica», 1856, a. 7. §. IV – Economia eterodossa. SOMMARIO 1. Prima conseguenza amore, diritto e dovere di egoismo. – 2. Confermato dai fatti. – 3. L\’egoismo vuol godere. – 4. Piaceri o morali o materiali. 5. Pel piacere ci vuol ricchezza. – 6. A piacere indefinito ricchezza indefinita. – 7. La società subordinata al piacere. – 8. Principio di schiavitù. 9. Si modera per prudenza; – 10. ma regna l\’egoismo, – 11. Necessità sociale di tal moderazione – 12. produce l\’autorità. – 13. Idea della società eterodossa. – 14. Antagonismo che vi regna. -15. Funzione dell\’autorità: somministrar godimento. – 16. Tasse indefìnite. – 17. Promuovere l\’arricchimento dello Stato. -18. Depredazione dell\’erario. – 19. L\’uomo utile – 20. logico fìglio dell\’uomo indipendente. – 21. Epilogo dei dommi capitali d\’economia eterodossa. – 22. Conclusione.
1. Promettemmo di esaminare in primo luogo che cosa il raziocinio deduce dal principio d\’indipendenza naturale dell\’uomo. Se l\’uomo è indipendente, egli deve ordinare tutto l\’operar suo a soddisfare sé medesimo: ecco la prima conseguenza che una ragione logica e perspicace deduce necessariamente da questo falso principio. Ed appunto per questo la dottrina cattolica, che in Dio solo ammette l\’indipendenza, c\’insegna che Dio in ogni sua opera solo se stesso ebbe per fine, omnia propter semetipsum operatus est Deus. E Dio medesimo allorché col suo decalogo impone all\’uomo sacrifizi talor penosi, esordisce col rappresentargli come ragionevol motivo di obbedire l\’essenziale dipendenza dell\’uomo da Dio: io sono il Signor Dio tuo; toglietene questa dipendenza, cessa la ragione dell\’obbedire. Posto dunque che l\’eterodosso si giudica indipendente e ragionevolissimo anche in lui di tutto ordinare a se stesso il suo operato: omnia propter semetipsum operatus est. Quindi quella formola cruda sì, e ad un cuore onesto nauseante, ma sincera e logicamente dedotta dalla filosofia dell\’io, per Amedeo Fichte come universale principio di morale: Ama te stesso sopra ogni cosa e il prossimo per amor di te.
2. Che questa formola orribile covi nei penetrali dell\’Utilismo, basterebbe a provarlo la stessa svergognata audacia di quell\’empio nel pronunziarla, e la confessione della corrotta società, che continuò dopo tal bestemmia a mitriarlo supremo filosofo. Ma se anche costui non l\’avesse pronunziata né l\’avessero accettata i suoi coetanei; chi è oggi che non mostri di ravvisarla predominante nel mondo col lamentare invasata la società da codesto turpe egoismo per cui assorbiti gli spiriti nel proprio interesse, quel nobile sentimento del sacrifizio che formò in altri tempi il carattere della società cristiana, sembra ormai cancellato dalle menti se non dalle pagine della società filantropica? «Una volta» (ecco come deplorava il doloroso pervertimento, testimonio non sospetto, il Brofferio, rinfacciando al Ministero Piemontese il crescere dei delitti, nella seduta dei 26 Marzo 1856), «una volta si parlava di pudore, di amor di patria ecc. Ma queste parole non sono più sul labbro di nessuno. Adesso tutta la politica del nostro paese è rivolta all\’interesse. Voi avete soffiata la sete dell\’oro; il popolo cerca di dissetarsi dove ne trova. Ma questa passione trascina dietro a se la galera ed il patibolo» (Armonia 27 Marzo 1856). E che tale asserzione esprimesse pur troppo un sentimento universale l\’attestarono i bravo delle gallerie sì strepitosi che il Presidente fu costretto a minacciare di fare evacuare le gallerie. Ecco il fatto dell\’egoismo che seguita naturalmente il raziocinio con cui lo dimostrammo figlio dell\’indipendenza e lo riconforta. Ha torto e gran torto chi lamenta la conseguenza dopo avere abbracciato il principio. Non opera per altrui chi da altrui non dipende.
3. Posto poi che l\’uomo, regalatosi una volta d\’assoluta indipendenza, non opera che per sé solo; che cosa pretenderà nell\’operare? Non si opera se non per ottenere un bene; e l\’uomo indipendente non può trovar bene se non nel proprio soddisfacimento, ossia in quel sentir gradevole che ha la sede propriamente ed unicamente nell\’io. Un uomo che dipenda potrà discorrendo ravvisare un bene di giustizia, di ordine anche in ciò che a sé non reca appagamento: e la ragione di vedervi un bene, sarà appunto la stessa sua dipendenza, per cui dirà: è ragionevole che chi dipende operi per colui da cui dipende. Ma se togliete questa dipendenza, cercare il soddisfacimento d\’altrui con detrimento del proprio, sarà opera ugualmente contraria e alla ragione e al sentimento. Or se il sentimento del proprio piacere è tanto gagliardo anche in chi si crede obbligato a dipendere, che molte volte a dispetto della ragione corre dietro al piacere, pensate se potrà trattenersi dal seguire il piacere colui che dalla ragione stessa vien gridato indipendente? Tacciano dunque, libertini filantropi quali che vi siate, gli sdegni vostri contro l\’egoismo trionfante. Se l\’uomo è indipendente egli deve operar per sé solo: se opera per sè, che altro può desiderare se non soddisfare quell\’innata tendenza ch\’egli sente ad assaporare il piacere?
4. Ciò non vuol dire che ogni utilitario debba scendere ad infami brutture, che abbia ad inebriarsi alla coppa di Circe e trasformarsi in un bruto. Vi sono i suoi piaceri anche per lo spirito e pel cuore: è un piacere l\’essere stimato, riverito, amato nella società. E poiché varie sono le indoli, i genii, i temperamenti, se la felicità per gli uni si trova nella bottiglia e nel piatto, nelle rose del talamo o nel pugnale della vendetta; vi sono indoli più benigne e naturalmente oneste, il cui piacere più bello sarà consolare un sospiro o rasciugare una lacrima, grandeggiar coll\’ingegno o incatenar coi benefizii. Ma ciò poco monta, perché il principio sarà sempre quello: l\’uomo opera per sentire gradevolmente.
5. Ora per sentire gradevolmente l\’uomo abbisogna di obbietto esterno che ne appaghi le facoltà, non partecipando egli realmente di quella natura indipendente di Dio, che stoltamente si attribuisce e che lo renderebbe di sé solo beato. Quindi a dispetto di tutte le teorie d\’indipendenza l\’uomo sente che ogni sua tendenza, ogni sua facoltà chiede un obbietto da cui dipende per essa il trovar riposo, e questo riposo appunto è quello che diciamo godimento e piacere. Volete moltiplicar piaceri? Dovete dunque moltiplicare oggetti verso i quali or questa or quella delle vostre facoltà vi trasportino; e con tale indefinito avvicendamento, che al satollarsi della prima ed infastidirsi, succeda tosto il solletico della seconda, appagata la quale si risvegli la terza e si soddisfaccia, e così di mano in mano senza termine. Questa è, come sapete, l\’idea della felicità presso gli utilitarii, i quali ve la definiscono, la somma dei momenti felici passati da voi nel piacere (5). E questa definizione della felicità, per rozza e brutale ch\’ella sia oh quanti appaga oggidì e filosofi e non filosofi!
6. Or ricordatevi lettore, che una quantità di oggetti godevoli è ciò appunto che dagli economisti vien detto ricchezza (6): e che per conseguenza, quantità indefinita d\’oggetti godevoli vale altrettanto che ricchezza indefinita. Vedrete subito che conceduta all\’individuo l\’originaria indipendenza, la ragione gli concederà per conseguente, non solo il diritto, ma il debito di tendere ad una ricchezza indefinita, con cui procacciarsi indefiniti godimenti (7). Questi potranno essere più o meno onesti, o come si direbbe in linguaggio umano, nobili o plebei (vocaboli che nel linguaggio utilitario sono irragionevoli non potendo essere ignobile o disonesto il cercar felicità dovunque veramente ella si trovi): godrà l\’uno sfamando una famiglia di creaturelle simpatiche, un altro pagando il sicario per isfogo d\’una vendetta. Ma in ogni caso per godere ci vuol ricchezza e però la ricchezza è stromento di felicità. Ecco la base universalissima dell\’economia rispetto all\’individuo.
7. Noi per altro non abbiamo a trattarla rispetto all\’individuo, ma alla società: e però ci fa mestieri ricordare brevemente come la società stessa nasce sotto il principio d\’indipendenza: di che altrove più diffusamente parlammo.
Se l\’uomo indipendente non può operare per altro che per godere, per godere eziandio opererà nell\’associarsi. Trarre dalla società, vale a dire da tutte le persone con cui si convive, tutto l\’utile o il piacere che sono capaci di produrvi, liberando voi medesimo dalla necessità di faticare; ecco il primo impulso che secondo quella dottrina ci conduce alla società. Impulso come vedete che stabilisce nel mondo sotto aspetto legittimo le due caste degli oziosi gaudenti e dei lavoranti oppressi di cui parlano i socialisti. En vertu du principe de l\’intérét, scrive il Proudhon al Bastiat, un individu peut réellement et légitimement vivre sans travailler: c\’est la condition à la quelle aujourd\’hui tout le monde aspire (8).
8. Trasformate codesta aspirazione della pigrizia in un principio morale, in un naturale diritto; avrete stabilita nel mondo la schiavitù, alla quale in fatti condusse l\’antico mondo ed oggi riconduce le nazioni che si governano economicamente col principio epicureo.
E qual differenza vi ha da un antico schiavo ad uno di quei moderni artigiani che si abbrutiscono e soccombono nelle fabbriche inglesi sotto il peso del lavoro, della fame e d\’ogni disordine morale? Non altra differenza se non che i primi appartenevano alla famiglia, e un padrone umano riceveano pur qualche conforto nell\’infermità e nella vecchiaia; laddove i miseri schiavi dell\’industria destinati ad arricchire quel padrone impersonale che appellasi la Società, la Nazione, lo Stato, giunti a quell\’estremo in cui malattia o vecchiaia ne assidera le mani al lavoro, sono abbandonati in mezzo alla via perché son liberi. Sfoggian frattanto fra ricchezze sfondolate le famiglie aristocratiche, oggetti d\’invidia all\’Egoismo continentale, che seguendo il principio medesimo, è ragionevolissimo nel predicarle beate, e beato il paese in cui tali fortune torreggiano. Si certo esso ha ragione: posto che l\’uomo indipendente opera solo per sé medesimo, ognuno ch\’entra in società dee dire come il cittadino dell\’Hobbes: «Io voglio sfogare ogni mio talento e tutti aver servi a me e ministri dei miei piaceri i miei concittadini». Il che dicendosi da tutti, il primo momento, il primo stadio della società sarà, proprio come costui lo diceva e come udimmo testé confermarsi dal Bastiat, la guerra di ciascuno contro tutti.
9. Ma in una guerra sì disuguale ciascuno avrebbe a toccarne, e delle sonore. Quindi prudenza vuole che si tenti iniziare una pace fattizia, negoziando la quale ciascuno farà di tutto per sacrificare il minimum e conseguire il maximum. La qual pace costituisce, secondo l\’Hobbes, il secondo stadio naturale dell\’umana associazione; nella quale come vedete niuno farà per altrui se non quel pochissimo che sarà assolutamente necessario ad ottenere per sé il quieto vivere e i vantaggi sociali.
10. Svolgete praticamente, o lettore, questa dottrina risultante dal principio d\’indipendenza, e vedrete ch\’ella esprime quel fatto quotidiano, cui vedemmo testé deplorarsi da tutti; vogliam dire l\’universale egoismo per cui ciascuno tira l\’acqua al suo mulino. In altri tempi vedevamo (e lo attestano ancora parecchi monumenti) molti ricchi impiegare le loro ricchezze, quale ad ergere un albergo per poveri, quale uno spedale per infermi, quale un ponte per agevolar le comunicazioni, quale un acquedotto per irrigar le campagne; moltissimi poi impiegare gratuitamente l\’opera loro in servizio del pubblico. Non diremo che tale usanza sia nei paesi cattolici interamente dismessa; chè i nomi di una Barolo, di un Mellerio, d\’un Canossa, d\’un Borghese, d\’un Torlonia, d\’un Taverna, d\’un Fagnani e mille altri simili mostrano qual forza abbia tuttora fra cattolici il principio del disinteresse. Ma quanto va egli perdendo di forza e di universalità a mano a mano che s\’introduce anche fra noi l\’utilismo protestante! Ormai, fatte le accennate onorevoli eccezioni, non vi è più chi trovi un superfluo per largheggiare coi poveri; anzi, a chi vive di stipendii o d\’industria, neppur rimane bene spesso un\’economia per assicurare l\’avvenire alla propria famiglia, la quale cade nella miseria al cader dell\’ufficiale nella tomba. Tanto può sugli animi, a dispetto ancora degli affetti paterni, il principio epicureo del godimento personale.
11. Ma mentre tutti vogliono goder molto senza nulla sacrificare, la natura della società è tale che non può sussistere se non pel sacrifizio dell\’individuo al ben comune. Togliete codesto concetto e la società perisce. Dunque l\’indipendenza dell\’individuo e la mania del godere mentre da un canto abbisognano della società per tutela contro l\’egoismo altrui, dall\’altro canto combattono la società come restrittiva dell\’egoismo proprio. Ecco dunque l\’uomo in società condannato a contraddizione perpetua, predicando agli altri il debito di sacrificarsi pel ben comune e praticando per sé il diritto di nulla sacrificare se non costretto per forza.
12. Ma quando ciascun cittadino si guidi con tal principio, come potrà ottenersi che la società sussista? Ecco come comparisce la necessità di stabilire un Potere cui si dia l\’incarico di determinare pubblicamente con legge quanto debba ciascuno sacrificare del proprio, affinché sia possibile la società: e poiché ciascuno troverebbe sempre soverchio il sacrifizio a lui rispettivamente imposto, si attribuirà all\’autorità una forza prevalente a cui ciascuno debba cedere armandola colle braccia di tutti.
13. Ragionevolmente dunque il Bastiat ne dicea poc\’anzi che le scienze sociali sarebbero senza scopo, se i concittadini non tendessero a spogliarsi gli uni gli altri. Sotto l\’influsso del principio cattolico l\’uso della forza è secondario; poiché i cittadini sono mossi nel retto ordinamento delle ricchezze primitivamente dall\’autorità, a cui la forza si aggiunge, solo per eccezione, contro i riottosi. Ond\’è che S. Tommaso sostiene che l\’autorità avrebbe avuto luogo anche nel Paradiso terrestre se Adamo non peccava. Ma sotto l\’influsso del principio di indipendenza, l\’idea della società, come vedeste, può compendiarsi in queste poche parole: antagonismo universale, servigi resi altrui per pura necessità di forza o d\’interesse, sforzo continuo per soggiogare gli altri all\’utile proprio, non cedere se non quanto la legge prescrive, non osservar la legge se non quanto la forza costringe, e però guerreggiare contro l\’autorità e i concittadini con frode o violenza fin dove le proprie forze si estendono. Oh! davvero, in tal società Autorità senza forza saria senza scopo, senza effetto. Interrogate internamente le idee che l\’esperienza vi ha ingenerate intorno allo spirito che regge in universale le moderne società, specialmente in quella parte che si lascia predominare dall\’utilismo e dal razionalismo,e capirete forse per voi medesimo più di quello che abbiamo spiegato. Ma se meno esperto in tal materia e troppo predominato per vostra fortuna dal principio cattolico non riuscite a comprendere che l\’egoismo possa giungere a tale eccesso da bramare la schiavitù altrui, l\’altrui miseria per proprio vantaggio; uditelo spiegare del Bastiat con una chiarezza meravigliosa. «Eccovi, dice, un produttore qualunque: qual è l\’immediato suo interesse?… È egli vignaiuolo? bramerà che gelino tutte le vigne fuorché la sua. È colono o proprietario? bramerà la carestia del pane. È medico? la pubblica sanità sarà alla sua professione un colpo funesto. È fabbricante in cotone? vorrà interdette tutte le fabbriche altrui. Ogni produttore ha intendimenti antisociali: o se tali non sono attribuitelo all\’umanità, al cristianesimo che ispira l\’annegazione» (9). Come vedete l\’egoismo universale non potea spiegarsi più evidentemente.
14. Ad una tale società applichiamo adesso il principio economico la felicità e la ricchezza dell\’io. Se la ricchezza è la mia felicità; dare il minimum del mio e smugnere il maximum della borsa altrui sarà la legge fondamentale risultante dai tre primi aforismi della descrizione soprarrecata: e a questa legge si riducono quegli aforismi economici: il valore è determinato dall\’offerta e dalla domanda, i mutui mancano se si vieta l\’interesse, nessun servigio si rende se non per un servigio equivalente, ed altri simili, coi quali suol determinarsi la relazione scambievole fra le borse degli uguali. Tutti codesti aforismi sono fondati sul principio: l\’uomo nulla fa se non per proprio interesse.
15. Ma perché questi uguali vivano in pace, o piuttosto perché non vengano a guerra aperta deve esistere, abbiam detto, una società governata dalla forza sociale. Questa società dovrà corrispondere quanto può alle mire dei cittadini, i quali si sono associati per godere di tutte le squisite agiatezze che mancano al solitario, al nomade. Ora a fornire tutte codeste agiatezze, la società dev\’essere ricca: e quanto sarà più ricca, tanto maggiori potrà fornire in ogni genere le agiatezze. Quindi ecco un principio universale d\’economia pubblica: promuovere indefinitamente l\’aumento della pubblica ricchezza: o per dirlo colle parole di Elvezio, trovar il modo dì far passare il danaro quanto più si può dalle borse private nell\’erario pubblico. Di che il limite delle tasse non sarà più quello che è necessario alla società di spendere, ma quel che è possibile ai privati di sborsare.
16. Infatti qual somma potrebbe più soprabbondare nell\’erario quando ogni immagine di agiatezza e di soddisfazione che passi pei cervelli, a questa dee tosto sopperire la ricchezza nazionale? Squisitezza di studii sublimi, di scienze sperimentali, di arti incantevoli, di rapide comunicazioni, di magici spettacoli, di macchine industri, di traffichi remoti; tutto dovrà fornirsi dalla società ai cittadini: ma soprattutto quell\’appagamento dell\’orgoglio nazionale, che non solo vuole l\’autonomia per sè, ma il primato su gli altri. Ministri, cui si raccomandano le sorti e i portafogli di un popolo ebbro del principio d\’indipendenza; ministri e governanti chi che vi siate, ricordatevene: questo e niente meno di questo da voi domanda, da voi aspetta il popolo sovrano.
– Da me aspetta questa piccola bagattella! Ma donde trarrò io i fondi pari a spese sì enormi?
– Voi vi affogate in un cucchiaio d\’acqua; chi ha segnato un limite all\’imponibilità? Stabilite un censo della rendita imponibile e poi avanti con coraggio, fate pagare al popolo perfino l\’aria che respira.
17. Ecco, lettore, il sistema economico delle imposte indefinitamente crescenti: esso non è, come vedete, se non il principio di felicità nel godere, e però felicità nella ricchezza applicato al corpo sociale. Questo corpo sociale è qui, come vedete, un ente logico, un ente di ragione che si fa grande e ricco a costo d\’impoverire e smugnere tutti i privati. Esso è ciò che si chiama tecnicamente lo STATO, che si vuol grande e ricco e potente ad ogni costo, affinché distribuisca poi in tutto il corpo sociale il largo pasto che si è inghiottito. Concetto essenzialmente socialistico, accovacciato nel fondo di codesta teorica sociale ed economica derivata dall\’io indipendente: concetto che vi spiega per qual motivo riescano impotenti contro il comunismo socialistico tutti gli sforzi dei dottrinarii economisti. E come vorreste che distruggessero la conseguenza, mentre sostengono da tanti perduti il principio! Abbiamo nelle opere del Bastiat il suo carteggio col Proudhon: nel quale chi prendesse ad esaminare accuratamente le ragioni pro e contra (e chi sa che nol facciamo un giorno?) farebbe toccar con mano l\’impotenza in cui si trovava il benché gagliardissimo ingegno del primo a sciogliere pienamente gli argomenti del secondo. Ma per ora, ciò che fa al caso nostro è di mettere in sodo il fatto, che un governo imbevuto dei principii eterodossi dee smugnere la nazione per far grandeggiare lo Stato: e intorno a questo le parole del Bastiat sono solenni. «Si è inventato, dice, il Governo rappresentativo, sperando a priori di far cessare lo smungimento del popolo, lasciando a questo di tassare gli stipendii del pubblico. Ma il rimedio, vuolsi pur confessarlo, finora è fallito. E perché? perché i Governi son troppo astuti, i popoli troppo sori. I primi studiando gli uomini e le loro passioni, se veggono p. e. il popolo inclinato alla guerra, l\’inuzzoliscono chiedendo frattanto soldati, marineria, arsenali, fortezze. Anzi non hanno altro incommodo che di lasciarseli offerire, regalando poi gradi, pensioni, impieghi e ciondoli. Ma per questo ci voglion danari. E se la nazione sarà generosa, oh la non dubiti, non solo ella vedrà potenti gli eserciti, risorgerà il commercio, fiorirà l\’agricoltura, ingigantiranno le fabbriche, splenderanno le arti e le lettere, ogni male, ogni miseria saranno estirpati, basta solo che ci diate impiegati che lavorino e danari che li paghino. Così i Ministri; e il popolo attonito stordisce d\’esser divenuto un popolo sì incivilito, sì grande, et d\’etre toujours Gros-Jean comme devant». In tal guisa il Bastiat (10) spiega l\’indefinito aumento delle gravezze. Vero è che in questo tratto egli ne attribuisce la causa all\’astuzia dei governi: ma poco appresso riconosce la propria ingiustizia: i ministri, dice, non parlerebbero di gloria alla Francia, se la Francia non fosse ebbra di codesta gloria: non ispenderebbero a corrompere elettori se gli elettori non fossero corruttibili (11).
Il fatto dunque, come vedete, è riconosciuto dal Bastiat: le gravezze crescono perché i ministri chiedono, i ministri chiedono perché il popolo vuol gloria e piaceri. Ma andiamo innanzi. Lo STATO esiste: lo Stato ha il dovere, e però il diritto di accumulare indefinitamente ricchezze per distribuire indefinitamente agiatezze.
18. Ma questa distribuzione come si farà, sotto l\’influsso sempre del principio d\’indipendenza e del principio di godimento (ogni uomo é libero, ogni uomo opera sol per godere)? Ricordiamoci, lettore, che codesti principii sono sprone al cuore di ogni individuo, e che la società non è ammessa da ciascuno se non coll\’intendimento di trarre tutta l\’acqua al suo mulino. Presupposti codesti principii individuali, è chiaro che la distribuzione sarà fatta a proporzione delle forze. Se uguali fossero le forze di tutti i concittadini, uguale sarebbe per tutti la quantità che ciascuno trarrebbe a sé dalla pubblica gara. Ma disgraziatamente le forze d\’ingegno, di braccio, di borsa, di riputazione, di aderenze, di audacia nel delitto ecc. sono disuguali. Dunque voi vedete la conseguenza: a ciascuno secondo le forze. Quindi siccome la prima forza sta in mano del capo dello Stato; costui dirà lo Stato sono io e si farà la parte del leone, lasciando tanto di quel bottino quanto è necessario ad aver cagnotti fra gli ufficiali, braccia di schiavi nel popolo. Al popolo si darà quel tanto che è necessario perché non soccomba sotto il lavoro; altrimenti dove trovar più le braccia per aumentar ricchezze? Ma nel dargli il necessario, badate per carità che nulla vi sia del puro convenevole o peggio del superfluo; altrimenti il popolo più non vorrà lavorare. Il popolo dunque mangi sì, ma il puro necessario per non morire. Ai cagnotti poi, del cui ingegno e cooperazione ha maggior bisogno il capo supremo, tanto si darà, quanto basti a satisfare le canne ingorde a proporzione che l\’opera loro sarà necessaria a sostenere il fardello o piuttosto a mugnere e tosare la pecora, lo Stato.
19. Ed ecco l\’idea dell\’uomo utile sgorgata logicamente dall\’uomo indipendente. Forse ad un lettore avvezzo a ben discorrere parrà strana codesta inferenza; conciossiachè se l\’uomo è riguardato come indipendente, tutto, abbiam detto, egli opera per vantaggio di sé medesimo. Come mai dunque da codesta indipendenza scappa fuori l\’idea dell\’uomo utile alla società?
20. Non istupite di grazia, lettore: se anche da principii falsi nascessero idee contraddittorie nulla vi sarebbe da meravigliare. Nel caso nostro per altro, apparente piuttosto che reale è la ripugnanza. Contraddittorie sembrano codeste due idee, perché l\’abito di universaleggiare scientificamente ci porta di leggeri a dimenticarci i veri dati della teoria: la quale benché con quelle parole l\’uomo indipendente sembri parlare di natura umana universale, pure in realtà applicando l\’indipendenza a ciascun individuo, stabilisce un principio singolare, che meglio direbbesi l\’Io indipendente. Or qual contraddizione rimane così fra questi due termini? Nessuna affatto: anzi la conseguenza può ridursi a questa formola generale: «Posto che ciascun uomo si crede indipendente, egli riguarderà tutti gli altri uomini come cose utili»: inferenza strettamente logica ed evidente. Giacché se l\’indipendente, come a principio è detto, opera solo per sé e tutti gli uomini vuol cooperatori al bene suo; l\’utilità sola è quella che egli riguarda in tutti gli uomini, e un uomo che non sia utile a lui non ha più agli occhi suoi una causa di esistere (12). Accomunate codesta brama esclusiva del bene privato a tutti i cittadini, ed essa formerà in tutta la società quasi principio morale il dettame «l\’uomo deve essermi utile»: e pur troppo un tal dettame già tiranneggia le menti nella società perfino di molti cattolici; dai quali udiamo ad ogni piè sospinto interrogarci a che serva il tale ordine, il tale istituto religioso? e se non si trovi utile per la società, già è proscritto dallo spirito del secolo: quasi l\’uomo esistesse per gli altri e non piuttosto per sé e pel suo Creatore; e ad altri fuorché a lui fosse debitore dell\’ossequio e dell\’opera: o quasi il religioso avesse perduto per un qualche delitto l\’indipendenza natia, come il malfattore condannato a lavori perpetui.
Che l\’autorità e bontà divina volendo formare fra gli uomini una società, consigli loro e comandi di beneficare quando occorre il prossimo accettando questo come un ossequio alla Divinità, l\’intendiamo benissimo; e per tal via intendiamo che ogni uomo pensi a rendersi utile servendo il suo prossimo. Ma che altri uomini pari a lui esigano da lui questo o quel servizio, e s\’egli non vuol prestarlo lo sbandiscano come inutile e lo spoglino e lo strazino; questo è un vero rinnovamento della schiavitù per cui l\’uomo divien cosa e non persona: e schiavitù peggior della pagana, non solo per l\’empietà che vieta l\’ossequio verso Dio, ma anche per l\’universalità con cui si stende ad ogni concittadino, cui piacciavi dire inutile; tirannico domma, implicito in tante declamazioni d\’eterodossi e talora eziandio di cattolici contro l\’ozio e l\’inutilità dei contemplativi.
Ecco dunque in breve epilogo i primi principii di una società sotto l\’idea di assoluta indipendenza.
1°. L\’uomo indipendente non essendo legato da legge alcuna ama sé stesso sopra ogni cosa e gli altri per amor di sè: per amor di sé vive in società con essi in quanto spera che si rendano utili a lui. Questa disposizione è, secondo codesto principio, nel cuore di tutti gli uomini, giacché è confermata dalla ragione e dall\’affetto.
2°. Con tal disposizione da tutti gli uomini e da tutte le cose ciascuno si ingegna, e a buon diritto, di trarre la maggior quantità possibile di utilità o di soddisfazione; dalle cose applicandole alla soddisfazione dei proprii bisogni o desiderii; dagli uomini surrogandoli a lavorare in vece di sè. Laonde arricchire il più e faticare il meno possibile è la formola della felicità a cui ciascuno procura di giungere, usufruttuando in tutto l\’universo cose e persone.
3°. La società è dunque in un perpetuo antagonismo ove ciascuno offre il minimum per ottenere il maximum. Da questa lotta fra l\’offerta e la domanda nasce un primo elemento determinante del valore. Dalla lotta scambievole poi tra gli offerenti ossia dalla concorrenza nasce un temperamento alle ingiuste pretensioni, e però un secondo elemento determinante i valori. La società economicamente parlando è dunque una guerra di tutti contro tutti: guerra, mutua tra gli offerenti, guerra degli offerenti contro i domandanti, guerra di una società contro l\’altra per succhiarne la ricchezza mediante un beninteso sistema di dogane.
4°. In questa guerra, il diritto e l\’egoismo di ogni indipendente non avendo alcun limite ne nascerebbe una collisione sterminatrice della società. Or ciascuno è interessato a non lasciarla perire affin di non perdere tutte le utilità che ne spera; dunque tutti si rassegnano a stabilire un Potere dotato di forza prevalente a cui debbano cedere tutti gli egoismi privati. Da questo potere ciascuno domanda principalmente due cose, cioè la repressione degli altrui sorprusi e l\’abbondanza di tutti i godimenti.
5°. L\’abbondanza dei godimenti non si ottiene se non a proporzione delle ricchezze. Dunque ciascuno desidera che la società sia ricca perché possa somministrare ogni copia di delizie.
Ma poiché la ricchezza sociale è da ciascuno voluta solo in quanto utile a sé medesimo, e codesta ingordigia di tutti i privati non può soddisfarsi dal governo; il governante dee mirare direttamente a render ricco lo Stato poco curando i particolari individui, i quali pensano ciascuno per sè. Aumentare indefinitamente la ricchezza dello Stato, ecco dunque il primo debito del governante.
6°. La ricchezza non si ottiene ordinariamente se non colle tasse. Dunque sotto il principio d\’indipendenza l\’aumento indefinito delle tasse sarà costante andamento della società.
7°. Ad aumentar le tasse è necessario trovar fondo imponibile nelle borse dei cittadini. Dunque un buon governante dovrà fare che i sudditi vogliano arricchire e possano arricchire.
8°. A far che vogliano vuolsi destare nei poveri la fame dei piaceri, e promuovere fra i ricchi il lusso e la voluttà: a far che possano si debbono promuovere indefinitamente occasioni e mezzi di lucro coll\’indefinito movimento dei capitali.
9°. Questo movimento la natura lo produrrebbe lentamente e parcamente. Or l\’egoismo di ciascuno (che sente fuggirsi il mondo come saetta) vuol godere subito e molto. Dovrà dunque il governante ingerirsi in tutte le aziende private incalzando tutti ad operare come conviene per la pubblica ricchezza: diritto successorio, manimorte, debito pubblico, monopolii ecc., tutto verrà coordinato ad accelerare l\’arricchimento dello Stato (despotisme réglementaire direbbero i francesi).
10°. Accumulata così immensa ricchezza, questa essendo sociale dovrà tornare a spandersi sulla società: la quale essendo madre ugualmente di tutti i cittadini, a tutti ugualmente dovrebbe far parte di sue ricchezze. Logico è dunque il comunismo nella società derivata dall\’uomo indipendente.
11°. Ma in una società d\’indipendenti, l\’abbiam veduto poc\’anzi, ciascuno provvede a sé stesso; anzi tutti gli altri vorrebbe schiavi a sé stesso. A proporzione dunque delle forze ciascuno trarrà a sé la pubblica ricchezza.
12°. Dunque ai ricchi maggior ricchezza, ai potenti maggior potenza, ai poveri e ai deboli maggior povertà e maggior debolezza.
13°. Questi per altro se non hanno diritto per sé di vivere son necessarii alla società per lavorare. Il popolo dunque è utile, l\’aristocrazia gaudente (13).
14°. Da questo prospetto di supremi principii economici comprenderete qual debba essere a un dipresso in questo sistema la definizione dell\’economia sociale: ella sarà qui, la scienza che rende ragione delle cause d\’onde nasce la pubblica ricchezza. E rettissimamente; altro non essendo l\’economia se non la regola degli averi. Or in questo sistema la regola sociale degli averi è che si aumentino indefinitamente, dunque la sua scienza dee recare le cause di questo indefinito aumento. Ma di questa definizione parleremo poscia più a lungo.
22. Ecco, lettore, le naturali conseguenze di quel principio eterodosso, le quali, come vedete, sono pur troppo un vivo quadro della società che abbiamo sotto gli occhi. Questa società serve dunque di confermazione al raziocinio, come il raziocinio dà la spiegazione della società che vediamo. Così la comprendessero quei tanti che con importune querele vanno lamentando avvelenati i germogli, e fomentando insieme e propagando la radice appestata di libertà d\’onde sì rei virgulti rampollano. Poco usi a penetrare addentro nei nascondigli del cuore umano e nell\’intima forza dei raziocinii, essi si arrestano al suono di poche parole magiche, e si persuadono che, conceduta a tutti la libertà d\’arricchire, ne sia conceduta a tutti ugualmente la facoltà: quasi la libertà di tutti non opponesse appunto a ciascuno un ostacolo immenso: quasi nell\’universal libertà i pochi ma potenti e cospiranti non fossero per opprimere i molti ma deboli e spicciolati. Meditino essi di grazia e intendano le capitali conseguenze fin qui annoverate di quella assoluta ed assurda indipendenza che essi pretendono regalare in nome della scienza ad ogni umana creatura.
NOTE
(5) Questa grossolana idea di felicità non è già propria soltanto dei più sozzi tra gli animali d\’Epicuro, di un Gioia, di un Bentham, di un Proudhon. Aprite pure le opere di quei più savii, e naturalmente onesti che s\’ingegnano di ravviare la traviata economia, un Sismondi, un Rossi, un Bastiat; e sempre vedrete ricorrere l\’istessa idea, con questa sola differenza, che dove i più egoisti pensano al proprio godimento, i più onesti vogliono questa felicità universaleggiata a tutti: ce que nous désirons, dice il Bastiat, (Gratuité du crédit lettre 14, pag. 460) c\’est l\’approximation constante de tous les hommes vers un niveau qui s\’élève toujours. E questa felicità per tutti è quella che costoro chiamano il bene pubblico, il bene sociale: e che non potendo mai esser comune a tutti, sperano almeno renderlo comune alla pluralità concedendo a questa il diritto di elezione, di suffragio ecc. nella legislazione.
(6) Non diamo qui una definizione scientifica, ma solo il fondamentale concetto a cui tali definizioni sogliono ridursi.
(7) «Quand l\’or fut devenu… l\’instrument de toute félicité, chacun voulut avoir de l\’or».(PROUDHON citato da BASTIAT, lett. 7, pag. 339)
(8) PROUDHON ap. BASTIAT, Gratuité du credit, lett, 7, pag. 314.
(9) V. BASTIAT. Sophismes économiques 1° Sér, Abondance, disette, pag. 7 a 9.
(10) Phisiologie de la spoliation (pag. 122 seg.)
(11) M. GUIZOT n\’aurait pas eu occasion de dire: «La France est assez riche pour payer sa gloire, si la France ne s\’était jamais éprise de la fausse gloire ecc. BASTIAT. Deux morales p. 130.
(12) «La caste des capitalistes a le droit… de dire à une masse de citoyens: vous ètes de trop sur la terre; au banquet de la vie il n\’y a plàce pour vous». (V. Gratuitè du crédit, PROUDHON ap. BASTIAT lett. 7).
(13) La société est necessairement diviseé en deux castes, une caste de capitalistes exploiteurs et une caste de travailleurs exploités (BASTIAT, Gratuité du credit lett. 7). La caste des capitalistes… a le droit de dire à une masse de citoyens: vous étes de trop sur la terre; au banquet de la vie, il n\’y a pas de plàce pour vous.