Scettici e positivisti sviliscono la capacita’ della nostra conoscenza: gli idealisti al contrario ne esaltano il valore a dismisura
LEZIONE IV
L’Idealismo
Mentre scettici e positivisti deprimono la capacità della nostra conoscenza, limitandone arbitrariamente i confini, gli idealisti all’opposto ne esaltano a dismisura il valore, ma pervertendo il concetto di verità, e dopo avere negato alla nostra cognizione il carattere della trascendenza. La cognizione, secondo loro, non può uscire da sé stessa e nulla attinge al di fuori di sé, ma crea le cose, il cui essere si identifica col pensiero.
La verità perciò non è la conformità delle cognizioni con le cose, ma con le leggi del pensiero.
1. – CENNI STORICI.
a) Criticismo Kantiano. L’idealismo moderno ha le sue origini in Descartes; nella sua opera c’è il germe che Locke, Berkeley e Hume svolgeranno; ma Kant ne getta le basi affermando il principio di immanenza che resta tuttora la tesi fondamentale dell’idealismo.
Kant, di fronte ad alcune difficoltà della nostra conoscenza (p. es. come le cose nella realtà siano singolari e contingenti mentre invece nel nostro intelletto assumano caratteri di universalità e necessità, ecc.) e ignorandone la soluzione scolastica, ricorse all’affermazione dell’esistenza nelle nostre facoltà conoscitive di forme sintetiche a priori, le quali, applicate alle impressioni che ci vengono dall’esterno, concorrono alla formazione dell’oggetto della nostra conoscenza. Esso, quindi, non è la realtà in sé, ma il risultato di due cause: il mondo esterno e le nostre facoltà, la sintesi di elementi oggettivi e soggettivi. Perciò la nostra mente non conosce la realtà in sé, ma quella realtà che essa stessa, sotto l’impressione esterna, costruisce: il mondo quale è in sé è per noi un noumeno inconoscibile.
Da qui hanno origine sia i rapporti del criticismo kantiano col positivismo agnostico, di cui abbiamo parlato nella lezione precedente, sia il principio di immanenza sopra accennato, che asserisce che noi non possiamo conoscere quello che sta fuori del nostro pensiero, ma solo quello che gli è immanente.
b) Idealismo. La realtà esterna al pensiero, benché noumeno inconoscibile, per Kant esiste; ma la sua affermazione è incoerente, come hanno giustamente osservato i suoi seguaci. Kant infatti afferma il noumeno, quale causa delle nostre sensazioni, ma il concetto di causa per Kant è una forma soggettiva a priori che ha valore solamente nel mondo fenomenico, non nel mondo numenico. Dunque Kant si contraddice, il noumeno non esiste, tutta la realtà è nel nostro pensiero: ecco l’idealismo. Così Fichte, Schelling, Hegel, ecc.
c) Idealismo attuale. L’idealismo trovò favore in Italia dalla seconda metà del secolo scorso per opera specialmente di Spaventa, Jaia, ecc. e ha assunto varie forme con Croce, Gentile, Varisco, Martinetti, Carabellese, ecc. Tra queste varie forme di idealismo quello di Giovanni Gentile, l’attualismo, ha fatto maggiore fortuna in Italia e realmente, a nostro giudizio, è la forma più coerente. “Il carattere più cospicuo dell’idealismo attuale è la più rigorosa negazione della trascendenza”. Così Gentile, che portando l’idealismo alle estreme conseguenze ne ha, senza volere, mostrato ancor meglio la falsità, provocando un movimento contrario tra molti filosofi italiani che si orientano di nuovo verso nuove forme di realismo (Orestano, ecc.). Ne tratteremo subito oltre.
Anche Croce non meno, anzi più di Gentile, ha avuto ed ha tuttora un notevole influsso nella cultura italiana, ma tale influsso non lo ha tanto come filosofo quanto come critico estetico- letterario e come storico erudito. Il suo idealismo (storicismo) si differenzia dall’attualismo gentiliano per l’affermazione che lo spirito non è solo sintesi di contrari, ma anche nesso di distinti (bello, vero, utile, bene) corrispondenti alla logica dell’idealismo (anche l’errore ha la sua logica) così da superare ogni dualismo di soggetto come esistenti indipendentemente l’uno dall’altro, risolvendo tutta la realtà nel pensiero pensante, nell’atto del pensiero. Tutto ciò che esiste, esiste tanto quanto è pensato; e tutto il pensato è nel pensiero, è pensiero. Per quanto riguarda il problema religioso Croce ha un atteggiamento nettamente negativo di fronte a Dio ed alla religione, nonostante si dica cristiano (cfr. CROCE, Perchè non possiamo non dirci cristiani“, Critica, nov. 1942, e la risposta della ” Civiltà Cattolica “, 20 febbraio 1943).
Il Carabellese, invece (per non parlare del Varisco e del Marinetti già superati nelle loro posizioni filosofiche), nel suo ontologismo critico fornisce un’altra concezione idealista, in cui è affermata la pluralità dei soggetti uniti nella concreta coscienza dell’Oggetto unico ed assoluto che sostanzia l’essere nostro e di tutte le cose. Il Carabellese fa entrare nel suo sistema Dio e la religione con il puro oggetto, senza coscienza e senza vera trascendenza, e così, di fatto, lo nega e non ne conserva che il nome (cfr. LOMBARDI, Civ. Catt. 1941).
Non possiamo trattenerci nell’esposizione di queste varie forme di idealismo e nella loro confutazione: ci basti osservare che in tutte è presupposto fondamentale ed elemento essenziale, il principio di immanenza; e siccome la confutazione del principio di immanenza è per noi l’argomento più valido contro l’idealismo gentiliano, confutiamo con esso anche queste altre forme di idealismo.
2. – SINTESI DELL’IDEALISMO ATTUALE.
Diamo una brevissima sintesi dell’idealismo attuale, quale è propugnato da Gentile nelle sue opere, particolarmente nella Teoria generale dello spirito come atto puro.
a) L’essenza dell’idealismo gentiliano è un puro monismo: non esiste altro che il pensiero nel quale si risolve la realtà, tutta la molteplicità del reale.
Questo pensiero che crea e in sé risolve tutto l’universo, non è il pensiero mio, di me individuo particolare contrapposto agli altri individui e alle altre cose (io empirico), ma il pensiero assoluto (io trascendentale) dentro il quale sono contenuti gli stessi io empirici.
b) Questo io trascendentale non è qualcosa di statico, non è la sostanza spirituale della vecchia scolastica, ma è essenzialmente dinamico; meglio, non è mai, sempre diviene, è autoctisi o processo costruttivo. Pensando, dialettizzando, l’Io trascendentale crea sé, crea la natura, la stende nello spazio, la svolge nel tempo, la risolve in se stesso.
c) I momenti della dialettica e le forme assolute dello spirito. Questo processo costruttivo della realtà o dialettica del pensiero comprende tre momenti (senza successione di tempo): l°) il soggetto che si pone (la tesi); 2°) l’oggetto posto dal soggetto nel suo continuo porsi, perché il soggetto è sempre soggetto di un oggetto (l’antitesi); 3°) lo spirito che è sintesi del soggetto e dell’oggetto. A questi tre momenti corrispondono le tre forme assolute dello spirito: l’arte, che è il momento della pura esaltazione del soggetto che astrae dall’oggetto; la religione che è il momento della pura esaltazione dell’oggetto che astrae dal soggetto, e finalmente la filosofia, il momento in cui lo spirito assume coscienza di sé, si coglie in questo ritmo costruttivo del soggetto e dell’oggetto: è l’autocoscienza.
d) Così nella filosofia si risolvono arte e religione, due atteggiamenti provvisori dello spirito che non è ancora arrivato alla piena coscienza di sé. Nella filosofia si risolve anche la scienza; essa è contemplazione dell’oggetto (la natura) creato dal soggetto, che ancora non è giunto alla perfetta coscienza della sua autonomia creatrice. Parimenti nella filosofia si risolve la storia; essa è natura se la si considera ingenuamente nel tempo, ma in realtà non è che lo stesso processo dello spirito nel suo continuo divenire. Finalmente nella filosofia si risolve anche l’etica; nell’atto puro dello spirito ogni distinzione scompare: se pensare è creare la realtà, conoscere è volere, agire. Lo spirito è morale perché perfettamente libero; l’attualità dello spirito – cioè tutto quello che lo spirito fa -, è bene, come tutto quello che lo spirito afferma è vero; il male – come l’errore – è il passato dello spirito, momento necessario nel processo costruttivo del bene, come il falso è un momento necessario nel processo costruttivo del vero. Così tutte le varie manifestazioni dell’attività umana si risolvono nella filosofia, la quale a sua volta è l’attualità del pensiero, l’atto puro, lo spirito, nel quale si risolve tutta la realtà.
3. – CONFUTAZIONE.
Non ci è possibile seguire più da vicino Gentile e gli altri idealisti nella laboriosa costruzione dei loro sistemi per mostrare la falsità delle singole asserzioni.
Del resto è troppo evidente il loro sforzo per spiegare tutta la realtà in funzione della concezione idealistica con affermazioni paradossali, con interpretazioni violente dei fatti più evidenti, con argomenti che sono spesso puri sofismi, velandone la debolezza con l’asprezza del linguaggio, ovvero col disprezzo per l’avversario ingenuo. Ci limitiamo alle considerazioni generali.
A) L’esistenza dell’Io trascendentale, che costituisce l’essenza dell’idealismo, è un’affermazione gratuita e contrastante con gli stessi principi dell’idealismo.
Secondo l’idealismo infatti possiamo affermare la realtà solo di quello di cui abbiamo coscienza; dovremmo dunque avere coscienza di questo Io trascendentale, se esistesse, della sua attività creatrice, della sua presenza in noi che avulso da noi si riduce ad una mera astrazione.
Invece nessuno, ad eccezione degli idealisti, crede a questa pretesa identità coll’Assoluto. Abbiamo tutti il vivo senso del nostro io particolare come opposto agli altri io, e nessun senso di io comune. Se esistesse questo io o coscienza comune non ci potrebbero essere segreti; tutte le coscienze sarebbero trasparenti l’una all’altra e non si assomiglierebbero, come è di fatto, a santuari chiusi, dei quali nessun estraneo possiede la chiave. Se tutti gli uomini fossero momenti dello stesso, unico processo dello spirito umano, tutti avrebbero lo stesso grado di sviluppo morale e intellettuale e, non si spiegherebbero più le lotte e i contrasti che dividono l’umanità.
B) La natura dell’Io trascendentale, quale è proposta dall’idealismo, è contraddittoria. Lo spirito è essere che non è, ma sempre si fa, diviene, senza successione. E’ l’assoluto, immutabile, infinito, necessario, eterno, sorgente di ogni perfezione, che insieme identificandosi con l’io empirico è relativo, finito, mutabile, contingente, temporaneo, pieno di imperfezioni e deficienze; è potere creatore, libertà assoluta e nondimeno brancola nel buio e nell’ignoranza, si dibatte in mezzo alle più grandi miserie fisiche e morali. E’ soggetto pensante, autocoscienza, realtà unica, consapevole di sé, e nondimeno dimentica se stesso per produrre l’illusione di una realtà diversa, di Dio e della natura.
E’ vero che gli idealisti ci rispondono che il principio di contraddizione ha, valore solo per il pensiero pensato e non per il pensiero pensante, e quindi non temono la nostra critica; ma se non si concede valore assoluto al principio di contraddizione è impossibile ragionare, negato il principio di contraddizione, non resta che la morte di tutta la vita dello spirito, un perfetto nichilismo psichico.
C) Le conseguenze, che logicamente seguono dall’idealismo, sono disastrose.
Negazione della scienza e della morale. Quello che pensa e opera in noi è 1’Io trascendentale, il quale pensa e opera come deve pensare e operare, perché non presuppone, ma crea le leggi del pensiero e dell’azione: quindi tutto sarà infallibilmente vero, tutto inevitabilmente buono. Ma vero bene è solo l’atto presente del pensiero, il farsi; il fatto, il pensiero passato, il pensato è male; quindi cade ogni distinzione tra vero e falso, tra bene e male; quindi divengono impossibili scienza e morale, che su tali distinzioni si fondano.
Negazione della religione. Dio si identifica coll’uomo; è impossibile la religione; resta il nome, ma non resta la cosa. Gli idealisti continuano (non tutti) a parlare di Dio, di spirito, di immortalità e di eternità, di culto e di religione, citano anche nei loro scritti, testi della S. Scrittura (ahimè, come interpretati!) ma il significato delle parole è del tutto cambiato; il loro Dio è ridotto al puro pensiero che si identifica con tutto il reale, è panteismo vero, distruzione di ogni religione, specialmente quella cristiana.
D) Il principio di immanenza, che è fondamento di tutto l’idealismo, è falso. E in questo facciamo principalmente consistere la nostra confutazione dell’idealismo. A giudizio degli stessi idealisti, la tesi fondamentale di tutto il sistema è il principio di immanenza, da essi spesso riaffermato, più supposto che provato, come fosse un principio evidente così da riguardare con compassione gli avversari ingenui che ancora non se ne sono persuasi. Esso è così formulato: “Per mezzo del pensiero non si può uscire fuori dal pensiero“. Il pensiero quindi nulla attinge fuori di sé (immanenza della cognizione), donde ne segue che l’oggetto del pensiero anche se pensato fuori, è sempre dentro il pensiero, non ha altro essere che nel pensiero; pensare una realtà esistente – fuori del pensiero – è assurdo (negazione della trascendenza).
A questo rispondiamo che il principio di immanenza è:
a) arbitrariamente affermato dagli idealisti. Quali sono infatti le loro prove? Si possono ridurre al seguente argomento che già accennammo: Tutta la realtà che conosciamo, in tanto è conosciuta, in quanto è da noi pensata; ma è pensata tanto quanto c’è il pensiero che la pensa. Dunque tutta la realtà è immanente al nostro pensiero, da lui dipende, è sua creazione. Questo argomento, che, esposto in forma speciosa, non manca di trarre in inganno molti inesperti, bene analizzato non è che un puro sofisma. Dal fatto che la realtà non può essere pensata senza il pensiero che la pensi, si deduce che la realtà non può essere simpliciter senza il pensiero; come se dicessi: questo libro non può essere illuminato senza una luce che lo illumini, dunque se non ci fosse la luce, il libro non ci sarebbe… Rispondo: non sarebbe illuminato, concedo; non ci sarebbe simpliciter, nego.
b) contraddice ai dati evidenti della coscienza la quale attesta che l’oggetto della cognizione:
1) è qualcosa di distinto dal soggetto che conosce e dalla cognizione con cui il soggetto conosce;
2) è qualcosa che non dipende da me soggetto conoscente, ma che esiste senza di me: non è fatto dalla mia cognizione, ma si impone ad essa; quindi, rispetto all’oggetto, è passiva, non attiva. Infatti perfettamente distinguo ciò che è prodotto della mia fantasia e del mio pensiero dalle altre cose che si impongono al mio pensiero e da esso non dipendono.
3) è qualcosa di determinato nella sua essenza – indipendentemente da me – e solo con studio e fatica arrivo a conoscere e affermo che ha questa o quella natura, perché cosi mi si rappresenta e mi costringe ad affermare.
Questa passività della mia cognizione quale dalla coscienza mi viene attestata, è contraddetta dall’idealismo. Ma non si può contraddire il testimone evidente della coscienza senza contraddire e negare tutto (come so di esistere, di vivere, di pensare se non dalla testimonianza della coscienza?) e rinunciare ad ogni filosofia compreso l’idealismo.
Né vale ricorrere alla distinzione tra Io trascendentale e io empirici per spiegare quei dati della coscienza, perché o la distinzione è reale, e allora cade il principio di immanenza, o non è reale, e allora non spiega nulla.
4. – ALCUNE OBIEZIONI.
1) Se la realtà esiste indipendentemente dal pensiero, il pensiero è negato come spirito che è attività creatrice. Rispondo. E’ negato il pensiero come conoscitore della realtà, nego; come creatore della realtà, concedo; ma sarebbe da dimostrare che l’essenza del pensiero (e dello spirito) è di creare il suo oggetto.
2) Se oltre noi e il nostro pensiero c’è la natura, c’è Dio, come ne è possibile la coesistenza? Dio infatti è tutto, è l’infinito, e fuori del tutto, dell’infinito non ci può essere nulla. Quindi o Dio o noi: “Dio per essere Dio rende impossibile il mondo” (GENTILE, Problemi della Scolastica, p. 80). Rispondo. Se c’è Dio non ci può essere nulla fuori di Lui che sia indipendente da Lui concedo, che sia dipendente da Lui, nego. In uno Stato dove ci fosse un sovrano assoluto, questi avrebbe tutta l’autorità e nessun altro potrebbe avere autorità indipendente da lui; ma ci potrebbero essere ministri e funzionari che hanno autorità partecipata e dipendente da lui. Così Dio è l’essere infinito che ha in sé tutte le perfezioni, il che non impedisce che noi abbiamo essere e perfezioni limitate, partecipate e dipendenti da Lui. (Cfr. lez. XVII).
3) La cosa conosciuta non può essere nel soggetto conoscente, cosa necessaria perché si abbia la cognizione. Rispondo. La cosa conosciuta non può essere nel conoscente col suo essere reale e fisico, concedo; col suo essere intenzionale, cioè con una forma che lo rappresenta, nego; e in questa unione intenzionale del conoscente con la cosa conosciuta sta la perfezione del conoscere.
4) Allora è impossibile conoscere la verità della cosa pensata, perché bisognerebbe confrontarla con la cosa in sé, il che è assurdo. Rispondo. Come spiegheremo nella lezione sesta, ciò che noi direttamente e immediatamente conosciamo non sono le nostre cognizioni, ma le cose stesse; la cognizione è solo il mezzo con cui direttamente conosciamo la realtà e perciò non c’è alcun confronto da fare per essere certi della verità della nostra cognizione.
Bibliografia.
BARTOLOMEI, L’idealismo italiano contemporaneo, esaminato alla luce delle dottrine di S. Tommaso d’A., Torino, Marietti;
CHIOCCHETTI, La filosofia di Croce e la filosofia di Gentile, Milano, Vita e Pensiero;
CORDOVANI, Cattolicesimo e idealismo, Milano, Vita e Pensiero;
OTTAVIANO, Critica dell’idealismo, Napoli, Rondinella;
PETRUZZELLIS, I problemi dall’idealismo e il pensiero cristiano, in “Acta Pont. Acad. Rom. S. Thomae Aq.”, IX, Roma, Marietti, 1944;
ZACCHI, Il nuovo idealismo di Croce e Gentile, Roma, Ferrari.